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Menabrea, Luigi Federico, conte.

Uomo politico, generale e scienziato italiano. Dopo aver studiato Ingegneria all'università di Torino, entrò nel Genio Militare con il grado di tenente. Dal 1839 al 1848 insegnò Meccanica, Scienza delle costruzioni e Geometria descrittiva presso l'Accademia Militare Torinese. Vicino agli ambienti democratici torinesi, collaborò con il giornale "La Concordia" e venne eletto al Parlamento subalpino dal 1848 al 1860 (anno in cui divenne senatore). La sua originale fede democratica mutò presto a favore dello schieramento conservatore. Il contrasto con Cavour divenne evidente in occasione della presentazione della legge Siccardi per l'abolizione del foro ecclesiastico, allorché M., schierandosi decisamente fra gli esponenti clericali, chiese la protezione della religione cattolica contro le sette protestanti, nonché un restringimento della legge sulla stampa. Durante la seconda guerra d'indipendenza (1859) assunse incarichi militari, organizzando, fra l'altro, l'allagamento della piana fra i fiumi Sesia e Dora, onde rallentare l'avanzata austriaca. Frattanto la sua opposizione a Cavour si andava sensibilmente attenuando, tanto che questi, poco prima della morte, ne consigliò la nomina a ministro. Nel primo gabinetto Ricasoli (giugno 1861 - marzo 1862) gli fu affidato il ministero della Marina e nel gabinetto Farini-Minghetti (dicembre 1862 - settembre 1864) quello dei Lavori pubblici; in tale circostanza M. si mostrò un convinto sostenitore, accanto a Stefano Jacini, della necessità di effettuare il traforo delle Alpi. Le sommosse scoppiate a Torino, in occasione del trasferimento della capitale a Firenze, lo costrinsero a dimettersi. Nominato rappresentante italiano a Vienna nel 1866, appose la sua firma al trattato di pace che sanciva la cessione del Veneto a Napoleone III e da questi all'Italia. Fu capo del Governo, tenendo ad interim il ministero degli Esteri, dall'ottobre 1867 al novembre 1869, in un periodo delicato dal punto di vista politico (scontro di Mentana fra garibaldini e forze francesi). Il suo Governo fu contraddistinto da uno spiccato filo-francesismo, che lo portò ad opporsi nettamente al trasferimento della capitale a Roma (1870). Al tempo della Comune parigina (1871), M. si mostrò particolarmente allarmato, al punto da giudicare utile l'unione con le forze clericali contro ogni nuova forma socialista di governo. In politica interna la sua azione fu ispirata a un conservatorismo moderato, mirante ad estendere il potere regio grazie a un'interpretazione estensiva dello statuto. Con l'avvento al potere della Sinistra (1876) fu nominato ambasciatore a Londra (1876-82) e poi a Parigi (1882-92), rivelandosi abile diplomatico. Nel 1892 si ritirò dalla vita politica (Chambéry 1809 - Saint-Cassin, Chambéry 1896). ║ Teorema di M.: in qualità di scienziato M. enunciò un principio relativo all'elasticità, detto anche del minimo lavoro, che fu presentato all'Accademia Reale delle Scienze di Torino nel 1871. Secondo tale principio il lavoro di deformazione di un solido elastico, vincolato rigidamente e in modo iperstatico, è minimo rispetto al lavoro che sarebbe necessario se i vincoli cedessero o si spostassero, in quanto nella situazione vincolata la derivata del lavoro di deformazione dell'intero sistema, rispetto alle incognite iperstatiche, è nulla.